

In molte organizzazioni culturali l’uso del video è – in parte giustamente – associato a un rimpiazzo meno efficace della performance dal vivo. Sicuramente trasmettere tale e quale uno spettacolo live su Facebook o YouTube non dà al pubblico – nella maggior parte dei casi – la stessa emozione di essere davvero presenti. Non a caso il cinema si fonda sul montaggio, non sulla presa diretta.
Ma il video è anche il mezzo più di successo in assoluto in quello che è al momento il canale più efficace per fare conoscere la propria organizzazione, cioè i social media in senso lato, includendo per molti versi anche YouTube.
Come risolvere quindi il dilemma?
La chiave è nel capire qual è il contesto di chi sta fruendo un video, decidendo lunghezza, contenuto, obiettivo e canale caso per caso. Un esempio pratico: una battuta di quindici secondi di un’opera teatrale, ripresa in primo piano, potrebbe essere molto efficace per promuovere lo spettacolo, molto più di una descrizione testuale di 4000 caratteri, soprattutto se la si inserisce in un piano di advertising su Facebook o YouTube che interagisca (a pagamento, sì!) con persone che sono sì potenzialmente interessate al teatro, e che magari vivono in una certa area geografica, ma che non sono ancora così fidelizzate alla nostra organizzazione.
Uno spezzone invece anche di un paio di minuti, pubblicato nella pagina Facebook o nella presentazione di uno spettacolo sul vostro sito può essere molto apprezzato da una platea già coinvolta. E anche questo video sarà più attrattivo di una lunga descrizione testuale – che non dovrà scomparire ovviamente, ma essere integrata.
La pubblicazione integrale aperta a tutti normalmente non dà molti risultati, né di promozione né di visualizzazione, per i motivi che si dicevano all’inizio. Però per qualcuno che ha visto lo spettacolo dal vivo, e che ha comprato il biglietto, potrebbe essere un bel regalo poter rivedere, se non tutta l’opera, almeno qualche spezzone a sua scelta. Basta creare un’area riservata sul sito, che con WordPress non è un’impresa titanica, e inserire il video pubblicato su Vimeo (meglio di YouTube, probabilmente) in modo da non essere trovato altrove da motori di ricerca e da Vimeo stesso.
Ogni operatore della cultura dovrebbe quindi pensare alle proprie performance live (pensate all’infinito serbatoio di contenuti di un festival, per foto e clip) già dall’inizio della progettazione come a un serbatoio di idee per poter continuare a proporre contenuti anche successivamente. Non certo con riprese e foto istituzionali (quelle lasciatele ai cronisti della stampa) ma andando a cercare “creativamente” angoli e momenti che il vostro pubblico amerà rivedere. Oppure addirittura rendendo creatrici le stesse audience — a partire dalla ricondivisione delle stories che il pubblico crea spontaneamente – ma da incentivare – durante gli eventi, ovviamente quando sia possibile. Anche se spegniamo i cellulari in sala, li abbiamo accesi prima, e li accendiamo subito dopo.
Sono in effetti (micro)video anche le stories, le clip che scompaiono dopo 24 ore di Instagram. Non è un caso che il formato più di successo sui social in questo momento sia in pratica un micro-racconto di quindici secondi associato a strumenti di interattività come sondaggi, quiz, tag, ecc. Anche se scompaiono dalla piattaforma sono frammenti preziosi che possiamo salvare e di nuovo mettere in circolo anche nei momenti meno caldi dell’anno, anche fondendoli in video più lunghi. La spontaneità e l’autenticità sono vincenti, in un mondo digitale, spesso come e più che la cura formale e “professionale” dei filmati.
Naturalmente sempre considerando che il tempo, online, scorre molto più veloce e che un minuto di attenzione è già un regalo inestimabile da parte della nostra audience. Quindi è necessario focalizzarci sempre sull’aspettativa e il contesto di chi lo potrà fruire, vederlo con gli occhi del nostro pubblico, mixando, cucendo e tagliando quello che non serve. E coinvolgendo, ogni volta che sia possibile, il vostro pubblico.
